Venerdì 10 Ottobre

San Daniele Comboni.

Alle 7 ora africana (7:40 nel nostro fuso) ci troviamo nell’outpatient department allestito a chiesetta per la cerimonia, con Suor Angela che arriva con un mazzolino di fiori colorati dal loro giardino per l’altare.
Si ringrazia il fondatore dell’ordine: alla preghiera partecipano per lo più lavoratori dell’ospedale e qualche paziente che si unisce mentre aspetta il suo turno. Oggi sanno che lavoriamo mezza giornata e pochi sono in giro: in effetti c’è molto meno lavoro anche in laboratorio e alle 14 resto sola e poi mi unisco a Luca e Marcello per un the/caffè a casa. Avevamo pensato di andarci a bere qualcosa di fresco nella zona vicino al market, zona di etiopi che sono gli unici dove si può trovare una birra fresca! E poi da lì raggiungere la chiesa comboniana per la fine delle celebrazion. Ma suor Maria ce lo sconsiglia perchè in quella zona ci sono 2-3 bande di balordi che è meglio non incontrare soli o a piedi. Per cui ci dirigiamo per fare due passi verso il mercato senza trovare nulla di interessante.

Giro in ospedale (che in effetti è stato lasciato in mano a noi e agli infermieri, anche da Suor Marianna!) per vedere qualche terapia.. la mia bimba di 3 anni con la malaria merita un controllo del gruppo e del papà per la donazione. In effetti il papà è compatibile, ma durante lo screening viene positivo all’HIV, per cui non posso raccogliere. E qui resta per ora valido il messaggio prioritario da lanciare: se non doni una sacca (tu genitore, qualche parente, amico), non possiamo trasfondere tuo figlio.. Se lo facessimo sulla promessa di trovare domani un parente compatibile, finiremmo le scorte di sangue in un giorno. La dura legge del “do ut des” che oggi però ha una ragione di esistere, nell’essere radicata nella cultura e nel cuore di chi non ha nulla. Anche perchè se dono un sacca di sangue (anche solo 200-250ml), non sono certo che non morirò io stesso per debolezza o per fame. Per cui per salvare se stessi (almeno nella loro mente) genitori o mariti si rifiutano di donare gocce di sangue preziosissime. Resto con lei, nella speranza che.. non so, nella speranza che saperla già decretata alla morte per HIV mi sollevi..

Ecco, la dose di distacco e di conoscenza delle tradizioni locali che potrebbe salvare me dai sensi di colpa si sta faendo strada. Nella semplicità di una serena e calda serata di fine ottobre, nell’ospedale di Wau, in Sud Sudan. Spengo la TV, per stasera non mi va di sentire altre notizie tragiche e vedere foto di bambini moribondi… è venerdì sera, di un giorno in realtà festivo, immagino di aver trovato la birra con Luca e di averne bevuta un po’ troppa!

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